INTERVISTA A RITA CARLA FRANCESCA MONTICELLI

Rita Carla Francesca Monticelli è una scrittrice best-seller che ha bisogno di davvero poche presentazioni. Definita da Wired Magazine come una dei dieci migliori autori indipendenti italiani, ospite al XXVIII Salone Internazionale del Libro di Torino e alla Frankfurter Buchmesse 2014 e rappresentante italiana di Mars Initiative, Carla è una vera e propria corazzata ormai divenuta un simbolo della fantascienza italiana. In questa intervista esclusiva, Carla parla di sé stessa, della sua fortunata serie di libri di fantascienza 'Deserto Rosso,' di scrittura, di pubblicazione indipendente e di molto altro ancora.

M.A. Ciao Carla e benvenuta. Da parte mia e da parte dei miei lettori, grazie per averci dedicato un po’ del tuo tempo. 

R.C.F.M. Ciao Michele! Grazie a te per questa opportunità.

M.A. Parlaci un po’ di te. Chi è Rita Carla Francesca Monticelli? Di che cosa ti occupi e che cosa ti piace fare nel tuo tempo libero?

R.C.F.M. Sono una scrittrice. Nello specifico, sono un’autrice indipendente (self-publisher) e una traduttrice tecnico-scientifica e letteraria. Da un po’ di tempo a questa parte il primo mestiere sta progressivamente prendendo il sopravvento sul secondo.

Nonostante il mio amore per la parola scritta, mi considero anche una scienziata non praticante. :) Sono biologa e per diversi anni ho lavorato come ricercatrice universitaria, assistente di una professoressa e tutor nel campo dell’ecologia. Ho comunque ancora l’opportunità di mettere in pratica la mia preparazione scientifica nell’ambito del mercato delle traduzioni e, ovviamente, nella scrittura di libri di fantascienza. Inoltre non ho smesso di accrescere le mie conoscenze in campo biologico, nonostante non intenda spenderle direttamente a livello professionale, e da oltre un anno mi sto interessando all’astrobiologia. Una cosa che mi piacerebbe fare, in un futuro non troppo lontano, è scrivere libri di divulgazione scientifica e magari fare divulgazione anche tramite altri mezzi. Al tempo del mio lavoro all’università mi piaceva particolarmente occuparmi di didattica e anche per questo, quando vengo invitata a fare da relatrice a qualche evento, in relazione ai miei libri o ai temi in essi trattati, sono ben felice di partecipare, quando mi è possibile.

Cosa mi piace fare nel tempo libero? Quale tempo libero? :)

Scherzi a parte, adoro andare al cinema, leggere (ovviamente), andare a teatro per assistere a qualsiasi tipo di spettacolo, ai concerti rock, per musei, sia nella mia città che in altri posti del mondo. Amo viaggiare e in generale qualsiasi attività che implichi l’entrare in contatto con realtà per me ancora sconosciute (dall’arte, alle persone, al cibo, alla natura, alla storia e così via). In altre parole, sono una tipa abbastanza curiosa. ;)

L’unico mio problema è che, essendo una lavoratrice autonoma, non mi è sempre possibile disporre del tempo libero che vorrei.

M.A. È da ormai alcuni anni che scrivi seriamente (dal 2009, se non erro). Che cosa ti ha spinto ad iniziare e (domanda forse più importante) cosa ti spinge a proseguire?

R.C.F.M. L’amore per la scrittura è qualcosa di difficile da spiegare. Ho iniziato a scrivere, in tempi molto lontani, perché mi divertiva. Ho continuato a farlo in maniera seria più recentemente perché, dopo tanto tempo, era diventata una necessità.


“Credo che ciò che spinge un autore a continuare a scrivere, a prescindere da eventuali successi o popolarità, sia il fatto che si diverte a farlo, e che si diverte a fare tutte quelle cose correlate alla scrittura.”

- Rita Carla Francesca Monticelli


Mi sono occupata di tante cose nella vita. Come ti dicevo, ho lavorato come ricercatrice all’università. In contemporanea e poi successivamente, mi sono dedicata alla creazione di siti web, al web copywriting, alla promozione web e all’ufficio stampa in ambito musicale, ho persino fatto la tour manager (in passato sono stata anche cantante, ma solo a livello amatoriale). Poi la parola scritta mi ha richiamato a sé quando mi sono reinventata come traduttrice. Alcuni anni dopo si sono create le condizioni adeguate (economiche e di tempo) che mi hanno permesso di dare più spazio alla scrittura creativa, nello specifico alla narrativa (precedentemente avevo scritto sceneggiature, fan-fiction, poesie e persino testi di canzoni). E così ho potuto dare seguito a questa esigenza e iniziare a scrivere il mio primo romanzo originale.

Iniziare è relativamente facile, proseguire lo è un po’ meno.

Mi ci sono voluti ben tre anni per completare la prima stesura di quel romanzo (che non è poi stato il primo che ho pubblicato). Il problema è che avevo la sensazione di fare qualcosa che non mi avrebbe portato a nulla. Conoscevo le difficoltà nel trovare uno spazio nell’editoria italiana, soprattutto per chi scrive fantascienza. Mi mancavano gli stimoli e le certezze per essere disciplinata.

Con la diffusione anche in Italia del self-publishing digitale, in particolare con l’arrivo di Amazon Kindle Direct Publishing, è cambiato tutto. Se lo volevo, potevo pubblicare le mie opere e quindi ho finito per scrivere anche troppo. :)

Proseguire poi diventa semplice, se le cose ti vanno bene, se la gente ti dice che ha apprezzato i tuoi libri e che vuole leggerne di altri. Ma in generale credo che ciò che spinge un autore a continuare a scrivere, a prescindere da eventuali successi o popolarità, sia il fatto che si diverte a farlo, e che si diverte a fare tutte quelle cose correlate alla scrittura. E io mi diverto parecchio. Finché continuerò a divertirmi, continuerò a scrivere. Le idee non mancano di certo.

In fondo, quando ci si dedica a una forma d’arte, qualunque sia il livello, lo si fa perché non si può fare a meno di farlo, nonostante le difficoltà. Se si smette, forse è venuta meno quell’urgenza, e allora non si può continuare.

Al di là di questo, sul self-publishing sto spendendo molto di me stessa, è diventato per me un mestiere per cui ho preso un impegno a lungo termine (sempre con me stessa). Non posso dire adesso cosa farò fra dieci anni, ma mi sono riproposta di guardarmi indietro ogni tot di anni per vedere come sto andando, se mi piace quello che sto facendo, se ci sono altre opportunità che mi attraggono di più da considerare, e quindi eventualmente fare dei cambiamenti. Ma questo è un altro discorso.

M.A. Quali sono i tuoi cinque libri preferiti in assoluto?

R.C.F.M. Cinque sono pochi e troppi allo stesso tempo. Ti dico il mio libro preferito in assoluto: “Hannibal” di Thomas Harris. 

Per le altre quattro posizioni forse te ne potrei citare cento! E poi magari, se li rileggessi adesso, li farei retrocedere in graduatoria. Il gradimento di un libro alla fine dipende dal momento in cui si legge. Mi è capitato di rileggere una seconda (e terza) volta solo due libri, ma erano novelization di due tra i miei film preferiti di quei tempi, quindi non contano.

M.A. Deserto rosso, la tua serie di fantascienza composta da quattro volumi, è un best seller. Questa serie ha dozzine di recensioni lusinghiere su Amazon.it, ha venduto migliaia di copie, ha creato attorno a sé una ‘fanbase’ di tutto rispetto e una reputazione di qualità che poche opere di fantascienza italiana possono vantare. Ciliegina su questa torta colossale, hai anche tradotto la serie in inglese, aumentando in questo modo la sua visibilità e diffusione. Raccontaci di che cosa tratta questa serie e da che cosa hai preso spunto per crearla.

R.C.F.M. “Deserto rosso” si apre con un episodio che si svolge su Marte e in cui viene presentata la protagonista della serie.

Anna Persson, un’esobiologa svedese che insieme ad altri quattro astronauti è stata selezionata per trascorrere il resto della vita sul pianeta rosso nell’ambito della prima missione di colonizzazione umana chiamata Isis, esce di nascosto dalla Stazione Alfa e si addentra nel deserto marziano con l’intenzione di non tornare più indietro, verso una morte certa. Perché lo sta facendo? Sta fuggendo da qualcosa? Oppure sta cercando qualcosa? O vuole semplicemente uccidersi?

Nel corso del primo libro, “Deserto rosso - Punto di non ritorno”, Anna compie questo viaggio misterioso e nel contempo ricorda il passato, cosa e chi si è lasciata indietro, gli eventi che l’hanno portata a essere una delle prime persone a esplorare, vivere e morire su Marte.

Questo è l’inizio della storia, ma in realtà si colloca cronologicamente circa a metà della stessa. Nei libri successivi, in un’alternanza di presente e passato, di Marte e Terra, attraverso il punto di vista di Anna e di altri personaggi, si dipanerà una vicenda complessa, di cui lo stesso pianeta rosso è a tutti gli effetti uno dei protagonisti.

Si tratta di una serie di fantascienza hard, cioè in cui la scienza descritta è plausibile in base alle conoscenze attuali, sebbene ambientata fra una cinquantina d’anni. Allo stesso tempo è un techno-thriller, in cui si alterna avventura, azione, suspense, tecnologia e introspezione psicologica, ma si trattano anche alcuni temi come la soggettività del concetto di bene e male (che ritorna un po’ in tutti i miei libri) e l’impossibilità di fare una scelta che sia completamente giusta, la tolleranza verso il diverso (inteso come cultura, religione, etnia e … altro), la manipolazione dell’informazione.

Ce n’è un po’ per tutti i gusti. Tra i miei lettori c’è chi cerca l’avventura, chi i sentimenti, chi vuole imparare qualcosa di più su Marte e l’astronautica mentre si diverte a leggere una storia. Ognuno è libero di scegliere il proprio livello di lettura.

L’idea di “Deserto rosso” è nata verso la fine del 2011, mentre cercavo uno spunto per scrivere un racconto (che poi è diventato una novella, cioè il primo libro della serie) allo scopo di provare a pubblicare sulle piattaforme di self-publishing. Come puoi immaginare, quell’idea mi è un tantino sfuggita di mano. :)

Sono stata ispirata dalla mia passione per l’astronautica, la ricerca spaziale e in particolare quella relativa a Marte. Proprio nel novembre 2011 partiva dalla Terra il rover Curiosity della NASA, che sarebbe arrivato sul pianeta rosso nell’agosto 2012. Curiosity porta al suo interno un chip con registrati i nomi di milioni di persone, tra cui il mio. Nello stesso periodo, proprio in virtù del lancio di questa missione, ho iniziato a leggere i libri di Robert Zubrin, il fondatore della Mars Society, in particolare il romanzo di fantascienza hard “First Landing” e il saggio “The Case for Mars”, che parlano appunto della colonizzazione di Marte. E così un giorno mi sono ritrovata a immaginare un astronauta sconosciuto che vagava nel deserto rosso di Marte, lontano dalla sicurezza di un habitat, e mi sono chiesta cosa ci facesse lì, come avrebbe fatto a sopravvivere.

Per scoprilo ho iniziato a scrivere la storia di Anna. :)

Ci tengo, però, a precisare una cosa. Il fatto che Anna sia una biologa è l’unico aspetto che ci accomuna, per fortuna! ;)

Un discorso a parte merita il mercato inglese. Qui ho già pubblicato tre dei quattro libri, col quarto che uscirà a luglio, ma non ci sto dedicando troppo tempo, anche perché me ne ha portato via già moltissimo in circa un anno per tradurre i libri (lavoro in collaborazione con un autore inglese che fa da revisore e una proofreader inglese che si occupa della correzione finale del testo). Inoltre sono abbastanza presa dai prossimi progetti in italiano (ho un libro in uscita a maggio, il mio ottavo libro, e ne sto scrivendo un nono). Ho comunque un piccolo gruppo di lettori in costante crescita soprattutto tra gli appassionati dell’esplorazione di Marte.

Sono molto contenta in particolare del feedback positivo ricevuto finora, considerando che ho tradotto io stessa i libri, pur non essendo madrelingua. Oltre a questo c’è da dire che un nuovo mercato è sempre un’incognita, poiché le differenze culturali influiscono sul modo in cui si leggono e apprezzano i libri. La mia è senza dubbio fantascienza europea, cioè che si distacca da certi standard che troviamo nella narrativa fantascientifica americana, soprattutto statunitense. La protagonista è un’antieroina ambigua fino alla fine. Non esiste distinzione tra bene e male. I temi trattati sono molto controversi e io non offro una mia opinione in merito, anzi me ne guardo bene. Tant’è che i lettori si possono trovare a parteggiare per il buono o il cattivo, o addirittura per entrambi secondo la situazione, poiché a un certo punto non sanno distinguerli. E questo coinvolge anche numerosi personaggi americani che sono tutt’altro che positivi!

Non sapevo proprio come i miei libri sarebbero stati accolti e vedere che finora nessuno si è lamentato, ma anzi sta apprezzando questo mio approccio, be’, per me è già un successo.

In ogni caso, dedicherò la dovuta attenzione al mercato anglofono una volta che tutta la serie sarà disponibile e in particolare in autunno, quando un altro mio libro (“Il mentore”), che ha avuto un ottimo successo in Italia, verrà pubblicato in inglese (è già in pre-ordine) e promosso da Amazon Publishing, cui ho concesso i diritti di traduzione in questa lingua.

M.A. In un articolo sul self-publishing apparso sul sito ‘Il momento di scrivere,’ Nunzia Assunta D’Aquale fa presente come la tua serie di fantascienza Deserto rosso sia indubbiamente classificabile come una storia di successo: circa 6000 copie vendute fino ad oggi. Ora, una domanda da un miliardo di euro sorge spontanea: per quale motivo, secondo te, Deserto rosso ha avuto una così ampia risonanza? A che cosa attribuisci la sua popolarità?

R.C.F.M. Be’, a parte il fatto che spero (così dicono!) di aver scritto dei buoni libri, dietro la popolarità di “Deserto rosso” ci sono due fattori.

Uno, quello su cui ogni self-publisher ha il controllo, è l’essermi impegnata per promuoverlo nel migliore dei modi. Con questo intendo che ho messo insieme gli insegnamenti forniti da altri self-publisher di successo, all’estero ovviamente, in altre parole, ho studiato, mi sono creata una base di lettori prima di pubblicare (tramite il mio blog, un ebook gratuito, ecc…), e poi ho fatto tutto il possibile per promuovere il mio progetto una volta pubblicato. Ho potuto sfruttare la serialità, che crea la fidelizzazione dei lettori. L’ho fatto coinvolgendoli anche durante la fase creativa. Ho scritto ogni nuovo libro dopo aver pubblicato il precedente e spesso interagendo con i lettori sui social network (soprattutto la pagina autore su Facebook) per conoscere le loro opinioni sui personaggi, sugli eventi narrati, le loro supposizioni su ciò che sarebbe avvenuto dopo. Ho creato aspettativa che ha permesso a ogni libro di scalare le classifiche di vendita più facilmente del precedente.

E poi c’è il secondo fattore, su cui nessuno ha veramente il controllo, ma è anche vero che viene influenzato dal primo: la fortuna.

Ho avuto la fortuna di essere stata notata e apprezzata quasi subito (probabilmente perché un’autrice donna self-publisher che scrive una serie di fantascienza a puntate era a quei tempi qualcosa di unico, ero una pioniera in un nuovo mercato) da alcune persone che mi hanno permesso di giungere all’attenzione del mio target di lettori: gli amanti della fantascienza. Mi riferisco in particolare alla mia collaborazione (tuttora in corso) col podcast FantaScientificast, ma anche ad altre persone inserite in quel mondo (la famosa nicchia dei lettori italiani di fantascienza) che hanno contribuito all’efficacia del passaparola.

Poi da una cosa ne viene fuori un’altra. Avere una base di fan cospicua mi ha permesso, per esempio, di essere presa in considerazione da Wired che mi ha portato al Salone Internazionale del Libro di Torino dello scorso anno, da lì ho conosciuto altre persone che mi hanno offerto ulteriori opportunità tra cui fare relatrice a un evento durante la Frankfurter Buchmesse. E ancora grazie ai miei lettori di “Deserto rosso” sono riuscita a promuovere efficacemente e avere ottimi risultati anche con il thriller “Il mentore”.

Insomma, una vera e propria reazione a catena, in cui devo sempre stare attenta alle opportunità che mi vengono proposte, ed essere pronta a cogliere quelle giuste, senza però smettere di scrivere!

M.A. Parliamo di self-publishing. Articoli, saggi, blog post e interi libri sono stati scritti su questo fenomeno in costante crescita e diffusione. Sostenitori, detrattori, disinformati, ognuno ha la sua opinione riguardo questo argomento, ma esistono davvero poche certezze su come il self-publishing funzioni davvero, su come iniziare, su quali errori evitare ecc. ecc. La pubblicazione indipendente, insomma, non è una scienza esatta. Come sempre il modo migliore di esplorare e di analizzare un fenomeno è andando a chiedere ad uno degli addetti ai lavori, una persona come te, che ha navigato le acque e parla per esperienza personale. Che cosa pensi del fenomeno del self-publishing in Italia e all’estero? È una novità momentanea? Una rivoluzione che ha stravolto l’editoria tradizionale? Qualcosa nel mezzo?

R.C.F.M. Il self-publishing è un modello editoriale tutt’altro che nuovo. Io faccio sempre l’esempio di Virginia Woolf, che era una self-publisher a tutti gli effetti. Ed è sempre continuato a esistere.


"In futuro si avrà una sempre maggiore crescita del self-publishing e nel contempo un’evoluzione dell’editoria tradizionale. Alla fine chi ci sta guadagnando e ci guadagnerà sempre di più è chi saprà cogliere il meglio da entrambi i modelli editoriali."

- Rita Carla Francesca Monticelli


La novità non è il self-publishing in sé, ma la diffusione della lettura digitale, che è diventata possibile grazie all’immissione sul mercato dei dispositivi che ne permettono una fruizione ottimale dell’ebook. Parlo dei tablet e soprattutto degli e-reader, anzi, parlo del Kindle, perché è stata Amazon l’azienda che ha contribuito più di tutte alla nascita del self-publishing digitale, quella che ha fatto da apripista, sia grazie al suo dispositivo che grazie alla sua piattaforma (KDP). Non voglio fare un elogio di Amazon, ma in questo caso non si può negare che occupi la maggior parte del mercato (ancora il classico esempio di pioniere di un nuovo mercato) ed è proprio ciò a stimolare altre brand a mettersi in competizione, rendendolo più ampio e vario.

È senza dubbio una sorta di rivoluzione, perché, comunque sia, ha cambiato le regole del gioco dell’editoria, soprattutto laddove vi è una maggiore alfabetizzazione digitale. Chiaramente mi riferisco al mercato anglofono in toto, e soprattutto a quello statunitense, dove si è superato da molto il punto di non ritorno e l’editoria tradizionale ha capito che deve evolversi per sopravvivere al cambiamento. Gli editori con le carte migliori (autori, libri, professionisti che vi lavorano, migliore efficienza gestionale) ce la faranno, gli altri scompariranno, tramite la stessa selezione naturale che agisce sul self-publishing.

La rivoluzione sta nel fatto che in passato il self-publishing era invisibile, non rilevante. Il self-publisher doveva investire per realizzare e stampare i propri libri, più recentemente si poteva affidare al print-on-demand, riducendo o annullando le spese, ma di fatto non poteva competere, poiché i suoi libri godevano di una distribuzione limitata o non ne godevano affatto, costavano più di quelli degli autori pubblicati da un editore. Essere self-publisher poteva essere solo un hobby.

La diffusione della lettura su ebook, e quindi della possibilità di pubblicare e distribuire il proprio libro in formato digitale a costo zero, ha portato i self-publisher a vendere i propri ebook accanto a quelli degli autori blasonati a prezzi significativamente più bassi (anche con un rapporto di 1 a 10), negli stessi luoghi virtuali, cioè i negozi online (ancora Amazon, ma anche Kobo, iTunes, Google Play e tanti altri). Da questo punto in poi il self-publisher si è trovato nella condizione di poter competere. Magari non ha alle spalle la macchina promozionale dei grandi editori, ma può batterli sul fattore prezzo, può persino decidere di regalare il proprio libro (perché non dimentichiamoci che il self-publisher non è un’azienda, non ha quindi l’assillo del profitto, non deve mantenere dei dipendenti), può contare sui social network come gli altri editori, può fornire, e in molti casi lo fa, un prodotto tecnicamente migliore rispetto agli editori tradizionali che hanno ancora difficoltà, anche economiche, a passare al digitale, poiché si portano dietro la zavorra della macchina del cartaceo (contratti con stampatori, distributori e altri fornitori di servizi relativi unicamente al libro cartaceo).

Non c’è da stupirsi che gli editori tradizionali da una parte cerchino di continuare a spingere il cartaceo, dove sono dominatori incontrollati, e che facciano di tutto per affermare un proprio valore intrinseco superiore rispetto ai self-publishing, talvolta addirittura utilizzando metodi di denigrazione non proprio ortodossi. Li capisco. A essere a rischio è proprio la loro esistenza, vale a dire il lavoro di un gran numero di persone. Però anche in questo i più lungimiranti, gli editori migliori nel senso imprenditoriale del termine, stanno reagendo al cambiamento, senza cercare di combatterlo, ma facendo del loro meglio per individuare in esso delle opportunità, spesso anche intrecciando i propri interessi a quelli dei self-publisher.

In futuro credo che, a pari passo della diffusione della lettura digitale e dall’alfabetizzazione editoriale degli autori, si avrà una sempre maggiore crescita del self-publishing e nel contempo un’evoluzione dell’editoria tradizionale. Alla fine chi ci sta guadagnando e ci guadagnerà sempre di più è chi saprà cogliere il meglio da entrambi i modelli editoriali. E ovviamente il tutto andrà a vantaggio del cliente del mercato, cioè del lettore.

Questo è un discorso generale che si applica, con le dovute proporzioni, a tutti i mercati in cui esiste il self-publishing, compresa l’Italia. Siamo un po’ indietro rispetto al mercato anglofono, oltre che per il semplice fatto che le persone che leggono in lingua italiana sono decisamente molto meno di quelle che leggono in inglese, anche perché la lettura digitale in Italia ha una diffusione inferiore. Il motivo è che siamo partiti un po’ in ritardo, tutto qui, ma stiamo recuperando. Nel 2013 la fetta del mercato digitale era appena il 3% di quello editoriale, alla fine del 2014 era diventata il 5%, quasi il doppio. Chissà dove arriverà alla fine di quest’anno o del prossimo.

E di pari passo a essa crescerà anche il self-publisher.

M.A. Che cosa ti ha spinto a pubblicare le tue opere indipendentemente? Perché non ti sei rivolta ad una casa editrice?

R.C.F.M. Da una parte c’è il fatto che credo di avere il DNA della lavoratrice autonoma. :) Mi piace gestire e avere l’ultima parola su ogni aspetto dei progetti che porto avanti.

Ciò non significa che non abbia pensato di rivolgermi a un editore. L’ho pensato quando non esisteva altra scelta, ma non l’ho mai fatto anche perché, per fortuna, a quell’epoca non avevo un libro intero da proporre.


"Il punto è che l’autore indipendente non è solo un autore, ma è un self-publisher, cioè è un autore, editore e imprenditore. Essere un autore è bello, ma essere un autore-editore è ancora meglio."

- Rita Carla Francesca Monticelli


Però, anche se ci pensavo, l’idea non mi allettava particolarmente. Avevo preso a studiare il mercato editoriale italiano, sentito le voci di chi ci lavorava, di chi aveva pubblicato con un editore, e ne ho sentite davvero di tutti i colori! È stato di certo uno dei motivi per cui ci ho messo ben tre anni per scrivere un romanzo. Mi chiedevo: chi me lo fa fare?

A ciò aggiungi che scrivevo fantascienza (solo più recentemente ho iniziato a scrivere anche thriller), che in Italia era (ed è) considerata di nicchia e solo pochissimi buoni editori pubblicavano questo genere (non che adesso le cose siano cambiate molto in questo senso), e ciò riduceva ancora di più le possibilità.

Insomma, la scelta mi è parsa più che ovvia.

Inoltre era una sfida. Mi permetteva e tuttora mi permette di imparare a lavorare in prima persona sul mercato editoriale.

Vedi, il punto è che l’autore indipendente non è solo un autore, ma è un self-publisher, cioè è un autore, editore e imprenditore. Essere un autore è bello, ma essere un autore-editore è ancora meglio. E io volevo fare il mestiere del self-publisher, non solo quello dell’autore. Volevo provare a creare qualcosa di cui essere protagonista, un progetto che fosse mio.

M.A. Ora, Carla, facciamo un’ipotesi. Diciamo che domani apri la tua cartella di posta elettronica e trovi il messaggio di un giovane scrittore che ti chiede come si fa a diventare un autore indipendente di successo. Quale sarebbe la tua risposta?

R.C.F.M. Be’, gli direi che nessuno conosce la formula del successo. Al massimo potrei provare a dargli dei consigli su come essere un buon autore indipendente, sperando che venga baciato da quel fattore di cui parlavo prima, su cui non abbiamo controllo: la fortuna.

Gli suggerirei di non avere fretta. Di dare la precedenza alla qualità del libro. Assicurarsi di essere prima di tutto un ottimo autore. E poi di rimboccarsi le maniche. Essere self-publisher non è una scorciatoia, bensì è la via più lunga e difficile. L’indipendenza implica totale responsabilità nel creare un prodotto editoriale di qualità e nel subire i risultati del proprio lavoro, che siano positivi o negativi.

Oltre a essere un autore, deve imparare a essere un editore. Deve studiare come si fa, usando la miriade di strumenti informativi offerti gratuitamente dalla rete (blog di altri self-publisher, libri, tutorial, ecc…). Deve creare la propria base di lettori prima di pubblicare (aprire un blog ed essere presente sui social network o in altri mezzi di diffusione di contenuti veicolati dalla rete, che siano video o podcast, dove però deve avere qualcosa da dire!). Deve circondarsi di collaboratori, poiché essere self-publisher non vuol dire fare tutto da sé. Significa solo che l’autore e l’editore sono la stessa persona, ma un editore ha dei collaboratori, delle persone che lavorano con e/o per lui. Deve conoscere il mercato, i retailer, il suo target di lettori. Deve imparare le tecniche di promozione e applicarle nella maniera giusta, cioè senza fare spam. Deve, in poche parole, prepararsi e poi definire il proprio progetto editoriale, la propria strategia, nei tempi giusti per lui, puntando sempre a dare del suo meglio. E poi deve avere il coraggio e la voglia di metterla in pratica.

È chiaro che non potrei spiegargli tutte queste cose in una mail, ma mi informerei sul suo background, sulle opere che vorrebbe pubblicare, e in base alla sua situazione proverei a indicargli quale, secondo me, è il passo successivo da compiere.

M.A. Parlavo qualche tempo fa con la scrittrice Annika Baldini del bisogno di avere una Piattaforma, una presenza nel cyberspazio (come ad esempio un proprio sito internet) per sponsorizzare le proprie opere. Per usufruire di un prodotto, insomma, le persone devono sapere che quel prodotto esiste e avere una base d’appoggio aiuta a farsi notare. Fare in modo di pubblicizzare i propri lavori, dunque, è importante per qualsiasi autore indipendente che voglia vendere le proprie opere. Tuttavia, esistono diverse opinioni al riguardo. Ben Galley, lo scrittore best-seller della serie fantasy Emaneska, non ha dubbi nel dire che il passaparola sia l’elemento più importante per favorire il successo di un prodotto (nel nostro caso, di un libro). Un’altra autrice best-seller di thrillers, C. J. Lyons, dice invece che bisogna semplicemente scrivere un gran bel libro, pubblicarlo e ripetere il processo, dando semplicemente ai lettori il tempo di scoprire le nostre storie. Un altro indipendente come lo scrittore italiano Simone Lari, autore della serie ‘Kage Queen’, consiglia semplicemente di ‘non spammare come ossessi, pubblicare con moderazioni e mettersi il cuore in pace,’ sottolineando come i social media sono già abbastanza saturi di persone che cercando d’imporre i propri prodotti. Qual è la tua opinione sull’utilità di un Piattaforma per un autore indipendente?

R.C.F.M. I self-publisher spesso fraintendono quale sia l’uso che devono fare delle proprie connessioni sulla rete attraverso i social network. Credono che sia uno strumento per pubblicizzare il proprio lavoro.

Non è affatto vero.

Ci sono degli spazi ben precisi dove pubblicizzare il proprio lavoro: il proprio sito web e/o blog (quest’ultimo però deve anche fornire contenuti utili), ovviamente la pubblicità a pagamento, i blog tour, le interviste in siti, web magazine, podcast, videocast, radio, il guest blogging, la propria mailing list (anche questa con moderazione) e altri mezzi più o meno creativi.

È vero che si può usare i social network anche per pubblicizzare un proprio libro, soprattutto laddove questi spot non vengano percepiti come spam, poiché hanno uno scopo informativo oppure sono in percentuale decisamente inferiore agli altri contenuti utili e quindi non danno fastidio. Per esempio, ci sta che su Twitter uno ogni tanto pubblichi un tweet pubblicitario, anche perché si tratta di un flusso continuo e qualunque cosa si posti viene vista da un numero molto ridotte di persone che ti seguono e che in quel momento per caso stanno guardando il proprio feed di Twitter.


"La tua piattaforma non è il sito, il blog, il profilo su Facebook e così via, ma le persone che li visitano e che ne condividono i contenuti di valore attirando altre persone. La piattaforma è importante perché moltiplica all’infinito le tue possibilità."

- Rita Carla Francesca Monticelli


Ma la funzione principale dei social network non è vendere, non è neppure cercare nuovi acquirenti. La funzione principale di un social network è fidelizzare gli acquirenti, in questo caso i lettori, in modo che tornino a leggere i tuoi libri (o inizino a leggerli, se prima leggevano solo i tuoi articoli sul blog, per esempio) e che siano loro a innescare il passaparola.

L’autore dovrebbe usare i profili pubblici dei social network (quindi nel caso di Facebook parlo delle pagine e non del profilo privato, dove ci sono i tuoi amici che non puoi pretendere che diventino tuoi lettori) per interagire con i propri lettori, per fornire contenuti interessanti che possano attirare persone potenzialmente interessante ai suoi libri, per informare queste persone dell’uscita dei nuovi libri, affinché siano loro a diffondere la notizia tramite il passaparola.

Se si riesce a creare una base di lettori fidelizzati, allora i social network diventano un mezzo potentissimo nelle mani dell’autore ogni volta che pubblica un libro. Dei lettori pronti ad acquistarlo appena esce, inoltre, ti fanno salire in classifica, ti fanno vedere dagli algoritmi dei retailer (in particolare quello di Amazon) che poi ti suggeriscono a nuovi lettori, che altrimenti non raggiungeresti mai direttamente.

La tua piattaforma non è il sito, il blog, il profilo su Facebook e così via, ma le persone che li visitano e che ne condividono i contenuti di valore (quindi non solo la pubblicità di un libro) attirando altre persone.

La piattaforma è importante perché moltiplica all’infinito le tue possibilità. Gestire la propria piattaforma però porta via tempo. 

Capisco il punto di vista della Lyons. Se scrivi molto e pubblichi molti libri, hai meno tempo per gestire la tua piattaforma e viceversa.

Come per tutte le cose bisogna stabilire un equilibrio proficuo tra il tempo che si dedica a fare gli scrittori (cioè a produrre dei libri) e gli autori (cioè a promuoverli). E non è solo una questione di tempo. Bisogna scovare e mettere in pratica gli strumenti più adatti per ottimizzare i due sforzi. Esistono strumenti sia per migliorare la propria produttività come scrittore (es. partecipazione al NaNoWriMo, scelta delle letture giuste) che come promotore dei propri lavoro (es. automatizzazione dei post), il tutto cercando di limitare le attività mangia-tempo, come chattare per ore su Facebook.

In questo senso non esiste una regola generale. Ogni self-publisher deve individuare il metodo che funziona per lui e i suoi libri.

M.A. Quali progetti hai in cantiere per gli amanti della fantascienza Made in Italy?

R.C.F.M. La serie di “Deserto rosso” è solo la prima parte di una saga fantascientifica più estesa, chiamata ciclo dell’Aurora (dettagli su www.desertorosso.net). La seconda parte è il romanzo “L’isola di Gaia” che ho pubblicato lo scorso novembre e che è quel famoso primo romanzo di cui ho scritto la prima stesura tra il 2009 e il 2011. Quest’opera si distacca dalla fantascienza hard e rientra nel sottogenere del cyberpunk. Seguiranno le parti successive, “Ophir”, “Sirius” e “Aurora”, previste rispettivamente (salvo calamità!) nel 2016, 2018 e 2020.

Attualmente sto scrivendo un romanzo di fantascienza intitolato “Per caso” che è ambientato in un contesto da space opera (pianeta lontano, astronavi, alieni umanoidi, tecnologie per viaggiare nel subspazio) ma con situazioni quasi da thriller psicologico. L’intenzione sarebbe quella di pubblicarlo entro la fine dell’anno.

Nel frattempo a maggio esce il mio nuovo thriller “Affinità d’intenti”.

M.A. Ultima domanda, banale, forse, ma che non posso non porre ad una fan di Sci-Fi come te: Star Trek o Star Wars? Quale preferisci?

R.C.F.M. Ovviamente Star Wars, d’altronde il mio nickname sul web è da sempre Anakina e il mio sito web è www.anakina.net (quello inglese www.anakina.eu). :)

Specifico inoltre che sono più che altro un’appassionata della trilogia classica.

M.A. Grazie mille per averci dedicato un po’ del tuo tempo Carla. Un titanico in bocca al lupo a te a alla fantascienza italiana.

R.C.F.M. Ancora grazie a te e ai tuoi lettori. È stato un piacere fare questa chiacchierata! :)

Hai domande riguardanti il self-publishing e la fantascienza italiana? Sei un autore indipendente anche tu, o magari qualcuno che vorrebbe diventarlo? Condividi la tua esperienza con domande e commenti!

(Originariamente pubblicato su MicheleAmitrani.com)